Quando Steve Wozniak tentò di salvare l’anima di Apple… con la gentilezza del codice.
Nel nostro 1985, Apple era a un bivio. Lanciato l’anno prima con clamore, il Macintosh non stava vendendo come previsto. Il Lisa era già stato dismesso. Il team originale del Mac era stato smembrato. Steve Jobs era in rotta con il consiglio d’amministrazione e sarebbe stato presto estromesso. L’azienda era frastagliata, divisa tra chi guardava al futuro e chi cercava di capire cosa salvare del passato.
Steve Wozniak era ancora formalmente in Apple, ma sempre più in disparte dopo l’incidente aereo del 1981 e le sue scelte personali. Eppure, non aveva mai smesso di crederci. Non nella Apple dei numeri, ma in quella dei sogni. Fu in quei mesi turbolenti, tra gennaio e febbraio, che mise insieme un piccolo gruppo di ingegneri con un’idea tanto semplice quanto rivoluzionaria: un sistema operativo etico.
Non più veloce. Non più potente. Solo più umano.
Il cuore gentile del bit
Il nome in codice era WozOS, e non partiva da zero. Era basato su una derivazione del Macintosh System Software – quello che più tardi sarebbe stato ribattezzato Mac OS e poi macOS – ma con una differenza radicale: ogni componente, ogni funzione, ogni schermata era pensata per essere chiara, non ambigua, rilassante. Il sistema non chiedeva all’utente di essere tecnico, ma offriva spiegazioni, avvisi empatici, linguaggi accessibili. Il cursore lampeggiava più lentamente, il cestino era rinominato “Cose da ripensare”, e il Finder non si chiamava Finder, ma “Tu sei qui”.
Uno degli obiettivi nascosti di WozOS era portare i computer nelle scuole, dove studenti e insegnanti avrebbero potuto usarli senza sentirsi esclusi dal gergo tecnico. L’idea era quella di creare un sistema capace di educare senza complicare, di spiegare invece di punire, di accogliere invece di bloccare.

WozOS non puntava sulla performance, ma sulla chiarezza. Il progetto veniva chiamato internamente “il Mac per chi non vuole sentirsi stupido”. Tutto era leggibile. Nessun comando nascosto. Niente tasti misteriosi. Il team creò persino un piccolo framework, simile a HyperTalk, che secondo alcune testimonianze potrebbe averne addirittura ispirato la creazione. L’obiettivo era permettere agli utenti di automatizzare funzioni senza dover imparare a programmare. Era un Macintosh per tutti, scritto a mano da persone che credevano che la tecnologia dovesse restare umana.
Nella cartella principale del sistema, chiamata “WozWorld”, ogni applicazione era accompagnata da una breve nota: chi l’aveva scritta, perché, e a cosa serviva. Alcuni documenti contenevano veri e propri pensieri personali. In uno di questi, lo stesso Woz scriveva:
“Il codice dovrebbe comportarsi come una buona persona: se può, aiuta. Se non può, non confonde.”
Un’idea fuori dal tempo…
Il Laboratorio 7
Il prototipo fu installato su un piccolo numero di Macintosh 512K. Le unità erano conservate nel Laboratorio 7, una sezione dimenticata del campus, accanto a un magazzino di Lisa invenduti. Non era un laboratorio ufficiale: sembrava più un rifugio che un reparto R&D. Scaffali metallici disordinati, luci al neon tremolanti, pile di manuali, componenti sfusi e monitor accatastati. Qualcuno aveva scritto “Think Peace” con nastro adesivo su una parete. C’erano piante finte impolverate, una lavagna piena di appunti scritti a mano, e una vecchia macchina da scrivere usata per etichettare le dischette.
Ogni Macintosh aveva un’etichetta adesiva con scritto: “Questo non è per vendere. Questo è per pensare.” Nessuno sa quante unità furono effettivamente assemblate, ma le voci interne parlano di almeno tre modelli completi, perfettamente funzionanti, con interfaccia interamente riscritta. Uno di questi, si dice, fu usato per mesi da una segretaria della divisione marketing, che lo preferiva “perché non metteva ansia”.
Poi arrivò la fine. Quando l’addio di Woz divenne ufficiale nel febbraio 1985, il progetto venne archiviato. Nessuno lo bocciò apertamente, ma le priorità erano cambiate. Apple guardava al business. Ai numeri. …alle pressioni del mercato enterprise, all’inseguimento dei colossi come IBM. WozOS era troppo gentile per quel mondo.

Un documento dimenticato nel tempo
Nel caos creativo del Laboratorio 7, tra floppy etichettati a mano e interfacce mai ufficializzate, emerse questo foglio. Stropicciato e macchiato. È un memorandum interno, battuto a macchina, con note a margine e correzioni a penna che sembrano appartenere proprio a Steve Wozniak. Non parla di prestazioni, né di quote di mercato. Parla di gentilezza. Di rispetto. Di chiarezza. È una visione etica della tecnologia in un’epoca in cui i computer erano ancora ostili. È la filosofia non ufficiale dietro WozOS. Sulla carta bucata tipica dei moduli a modulo continuo, una frase compare tre volte. Sempre uguale, quasi un mantra: “It is possible to be kind with code.” E in fondo, una firma. Woz. Nessuno può garantire l’autenticità. Ma chi conosce il cuore di Wozniak non avrebbe dubbi.
Apple WozOS oggi
Nessuna foto. Nessun CD. Nessun dump. Solo racconti, qualche pagina fotocopiata, un floppy criptico con un’etichetta: “Per chi crede nella bontà del bit”. Eppure, in alcune cartelle dimenticate dei vecchi dev Apple, si trovano snippet di codice che sembrano scritti da una mente più interessata alla chiarezza che alla velocità.
Una riga, in particolare, è tornata virale tra i nostalgici del codice semplice:
if (user_did_not_understand) then stop()
Forse non era un sistema operativo. Forse era solo una dichiarazione d’amore alla semplicità.
Ma è mai esistito?
Ovviamente no.
Ma su Italiamac ci piace immaginare un universo parallelo dove Wozniak tentò di rendere più morbida la tecnologia.
E ci riuscì. Almeno per un po’.

Arrivederci alla prossima storia di “Ucronìa: Cupertino – Cronache inaspettate di un tempo parallelo”, la rubrica sci-fi retrofuturista di Italiamac ideata da Gabriele Gobbo. A volte verosimile, a volte immaginaria. Per sviluppare “Ucronìa: Cupertino” ci siamo fatti aiutare da esseri umani, ricordi, esperienze, tool generativi e passione. Eventuali nomi e marchi eventualmente depositati sono accidentalmente utilizzati a puro scopo ludico. Nessun nerd è stato maltrattato per realizzare questa storia!
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