Tutti, ma proprio tutti, non fanno altro che parlare di Apple che ha annunciato la sua AI. Peccato sia un’integrazione di ChatGPT nei suoi dispositivi, piuttosto che un suo vero prodotto. Ho fondato Italiamac nel 1996 e ho iniziato a usare Apple con il mitico LC e utilizzavo computer della mela colorata nel laboratorio della scuola, quindi di cose sotto i ponti di Cupertino ne ho viste tante. Ma non ricordo cadute così in basso, di stile e di sviluppo.

Apple si è sempre presentata come il baluardo della privacy. E ora cosa fa? Integra una tecnologia esterna, fra le più criticate in fatto di riservatezza e privacy, mettendo a rischio la fiducia degli utenti e forse anche i loro dati. È una mossa che tradisce anni di marketing basato sulla protezione dei segreti dei clienti. Senza contare che, invece di darci i prodotti con AI funzionante, li ha solo annunciati con qualche screenshot, mock-up e funzionalità beta parziali.

Apple è sempre stata vista come pioniera dell’innovazione, ma la scelta di utilizzare una AI sviluppata da altri, come ChatGPT, mette in dubbio la sua capacità di innovare internamente. Dopo anni di investimenti nel machine learning, mi aspettavo avesse sviluppato una sua soluzione, invece di appoggiarsi a tecnologie esterne. Non stiamo parlando di un’azienda qualsiasi, ma di quella che è stata in grado di rivoluzionare e stravolgere totalmente il mondo della tecnologia almeno tre volte da quando esiste.

Inoltre, pare che l’azienda che ha speso miliardi per acquisire startup tecnologiche ora si sia ridotta a pagare in “visibilità” il fornitore di AI, almeno a quanto riportano i giornali. Ovviamente non sarà del tutto vero, ma solo il fatto che escano queste notizie la dice lunga. Questo cambio di strategia sembra più una misura di contenimento dei costi che una vera spinta innovativa, eppure ha più liquidità degli Stati Uniti.

Non posso fare a meno di pensare a come Steve Jobs avrebbe reagito a queste decisioni. Lo zio Steve era famoso per il suo perfezionismo e la sua visione unica e a capo dell’azienda mai e poi mai avrebbe, secondo me, fatto quanto sta facendo oggi Cook assieme alla sua combriccola. Probabilmente si starà rivoltando nella tomba, pentito di aver lasciato il timone a Tim Cook, che con le sue mosse burocratiche riesce a far rimpiangere persino i tempi bui di Gil Amelio.

Apple ha sbagliato tutto sulla AI? Questi passi mettono di sicuro in discussione la sua leadership tecnologica e la sua coerenza. Come appassionato di tecnologia e utente Apple trentennale, non posso fare altro che sperare in un cambiamento di rotta.

Si badi bene che sono utente Apple da sempre, come detto ne ho viste tante negli anni, e non passerei al lato oscuro senza mela per nessun motivo. Apple, per le ragioni che tutti sappiamo, rimane una soluzione ideale e spesso insostituibile per chi la usa dagli albori. Ma non significa accettare tutto senza critiche. L’opinione di questo articolo si riferisce alla scelta di affidarsi a OpenAI per implementare l’AI nei dispositivi della mela, non alla gestione generale di Cook.

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Disclamer: Questo articolo presenta le opinioni del suo autore indipendente o della fonte da cui è estratto e non di Italiamac. Può essere stato realizzato con l'assistenza della IA per la traduzione e il riassunto. Non è da considerarsi consulenza, consiglio d'acquisto o investimento, in quanto a puro titolo esemplificativo generico.

Gabriele Gobbo
Gabriele Gobbo è il fondatore di Italiamac. Gabriele Gobbo è docente e advisor in digital communication, divulgatore della cultura digitale, speaker di eventi tech, conduttore televisivo e strategist per aziende e celebrity. Da 30 anni si occupa di digitale, tecnologia e comunicazione. Ha ricevuto il riconoscimento di Divulgatore D’Oro MCC Digital Award. Ha fondato nel 1996 Italiamac, la prima community Apple in Italia. È docente a contratto presso l'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e ha insegnato all'Istituto Europeo di Design e all'Università Europea di Roma. Ideatore e conduttore del programma televisivo in syndication FvgTech, è anche co-fondatore del Digital Security Festival. È l’ideatore del termine “Social Zombing”, usato per definire certe tipologie di attacchi alla reputazione digitale.